La prima è la groupie per antonomasia, autrice di un paio di autobiografie di grande successo, I’m with the Band e Take Another Little Piece of My Heart (il primo pubblicato da Castelvecchi come Io sto con la banda), e di due libri di gossip sul mondo del rock/media/eccetera (Let’s Spend the Night Together e Rock Bottom, il primo dei quali è stato anch’esso pubblicato in italiano, con lo stesso titolo, da Castelvecchi); tra le sue tante conquiste di fine Sessanta abbiamo Noel Redding, bassista degli Experience, il gruppo di Jimi. Cynthia è un’altra groupie, famosissima per aver inventato l’idea del calco dell’uccello delle rockstar, nel quale si è specializzata a partire dalla fine degli anni Sessanta. Tra i suoi primi modelli abbiamo proprio Hendrix, per il quale ci vuole una dose di materiale da calco molto superiore alla norma: «Possiede il più grosso affare che abbia mai visto!», scrive Cynthia nel suo diario. Le due frequentano gli Experience nello stesso periodo e concorrono non tanto per le attenzione di Jimi, quanto per quelle di Noel (anche se, sottoposto al plaster caster di Cynthia, il bassista si emoziona troppo e se nel caso di Jimi il problema è che «non gli diventava molle» e quindi le due casters hanno problemi a estrarlo, nel caso di Noel si ritrovano spiacevolmente con un calco «come quello di un verme»). Insomma le due hanno una conoscenza “di prima mano” della materia. Nel documentario allegato al filmato che Vivid mette in commercio, Pamela e Cynthia si concentrano sull’identificazione del protagonista del loop, dicendosi convinte che si tratti proprio di Jimi. L’abbigliamento e la capigliatura che s’intravvede sembrano coincidere con i suoi. L’argomento forte è però un altro: «Quello è il cazzo di Jimi Hendrix, e io dovrei proprio saperlo», dichiara Cynthia a conclusione del loop.
La stessa Cynthia produce il calco originale del febbraio 1968, che viene sovrapposto rapidamente a quello del loop, ottenendone un certo combaciamento (per lo meno secondo il regista). Le due forniscono altre informazioni utili, in particolare la Des Barres racconta di aver saputo che a Hendrix «piaceva filmare se stesso mentre faceva sesso». Dial aggiunge, in una didascalia, che Vivid pensa di «aver identificato la persona che nel 1969 ha girato questo 8 mm»; questa però si è dichiarata non disponibile per un’intervista e quindi, «per motivi legali», non se ne può citare il nome. L’idea che Hendrix possa essere il protagonista di un filmino hard non è né scandalosa né campata per aria. Alla fine degli anni Sessanta, negli ambienti della cultura e della controcultura, tra beat, hippies e rivoluzionari vari, in un’atmosfera imbevuta di utopismo e liberazione sessuale, la partecipazione a un loop hardcore poteva ben essere intesa come un atto sovversivo, come un modo di combattere il Sistema e di non uniformarsi ai suoi decrepiti valori morali. Tra le avanguardie artistiche di New York o Parigi il sesso esplicito in via filmica è meno inusuale di quanto si possa pensare oggi, ed Hendrix partecipa pienamente di questo clima.
D’altro canto, un’osservazione attenta del loop rivela, anche ai non esperti professionalmente di Hendrix, alcune discrepanze, la prima delle quali è che, a ben osservare, il nero del loop è solo apparentemente somigliante al musicista: in secondo luogo, ammesso anche che il nero del loop assomigli a Hendrix (cosa molto discutibile, come si è visto), una somiglianza non basta a stabilire un’identificazione; alla fine degli anni Sessanta i neri con pettinatura afro, bandana e baffetti abbondavano nelle strade delle metropoli americane; senza stare a esibire statistiche, o a citare i Black Panthers, si pensi solo ai vari sosia di Jimi, o magari a quel Delvert Turner, chitarrista e frontman di diversi gruppi, che sulla sua somiglianza e la sua vicinanza amicale con Hendrix ha costruito la sua intera carriera. Insomma, il nero del loop ha sicuramente delle caratteristiche fisiche in comune con Jimi, ma questo non basta certo per poterne affermare l’identità. Infine, una questione di contesto: il loop è tipico di un certo stile produttivo, ancora caratterizzato dalla clandestinità.
Abbiamo una stanzetta d’albergo, arredamenti poveri, una certa limitazione tecnico-espressiva: se il protagonista fosse davvero stato Hendrix, che bisogno ci sarebbe stato di girare in quelle condizioni? Perché non farlo nelle stanze dei ricchi hotel nei quali spesso soggiornava? O magari nella sua favolosa villa? Si potrebbe allora suggerire che il filmino sia stato realizzato proprio per dare l’impressione che il protagonista fosse Hendrix. Che sia cioè una specie di “falso d’autore”. È questa l’opinione di Matteo Ceschi, tra i massimi hendrixologi italiani. La dimostrerebbero persino gli «errori» (per esempio, i due anelli sulla mano sbagliata del notoriamente mancino Hendrix, e perfettamente eguali, combinazione mai favorita dal nostro), che indicherebbero comunque una certa vicinanza, una conoscenza non superficiale, delle abitudini del chitarrista.
Due sono le ipotesi di Ceschi: o una specie di spoof orchestrato dagli amici, o qualcosa di più serio, una qualche manovra ordita ai danni di Hendrix, per esempio dal suo produttore Mike Jeffery, che non solo sottraeva al chitarrista buona parte dei guadagni (sistemandoli in conti off-shore), ma tentava in ogni modo di controllarlo, grazie anche alla sue connessioni con la CIA e il crimine organizzato. Il filmino potrebbe essere stato concepito come strumento di un ricatto, o qualcosa del genere. Questo spiegherebbe sia la sua realizzazione povera e clandestina sia la sua «sommersione» nei decenni successivi, nonché la casualità della sua recente riemersione. Sia come sia, anche nel caso che l’ipotesi ceschiana del «falso d’autore» fosse avvalorata, il punto sarebbe ulteriormente confermato: per quanto il fatto risulti affascinante e persino fecondo dal punto di vista culturale, il buon Jimi non ha mai girato un filmino hard.
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