giovedì 29 gennaio 2009

Ciao Mino!


Ieri se n'è andato per sempre un amico della Bernarda, e non solo.

E' sempre imbarazzante redigere un “coccodrillo”, e quasi impossibile evitare le
trappole retoriche che tali occasioni presentano anche al più scafato articolista.

Per tali ragioni non mi dilungherò nel panegirico del personaggio, ricordandone
l'umiltà, la spontaneità, l'onestà, la capacità di farsi immediatamente apprezzare
dal pubblico, entrandoci subito in perfetta sintonia.

Reitano era un “artigiano”, una figura d'altri tempi nell'ormai vasto ed indistinto
mondo odierno dello show-business massmediologico, un “ruspante”, un artista in grado
di toccare le corde più profonde del pubblico più semplice e genuino.

Leggendaria la sua disponibilità entusiastica, ogniqualvolta noi della Bernarda
avessimo occasione di avvicinarlo.

Un entusiasmo quasi infantile, autentico, e per ciò stesso d'una purezza assoluta,
che vale più di mille mossette da simil-idolo pseudo-modesto, stile Jovannotti di
turno.





Tu chiamala, se vuoi, Reitanità.

domenica 25 gennaio 2009

Intervista a Vittorio Podestà Campione del Mondo ed Olimpionico di Handbike

Ci fai una priorità delle tue sfide più grandi, in questi tuoi primi trentacinque anni di vita?
Nel mio rapporto sempre conflittuale con mio padre, La prima sfida credo che sia stata quella di dirgli: “Vado a studiare Geometra, non vado al Liceo perché è troppo ipegnativo”. Era come se qualcuno mi avesse detto: “ Guarda, fai questa che è la strada più semplice”, e poi mi impone di farla. Io per reazione gli rispondo: “ No, io cambio strada, e ti dimostro che arrivo anche prima”. Senza sapere com’è quella strada, è come se tu scommettessi al buio.
Anche prendere la laurea in Ingegneria Civile è stata una sfida, sebbene non mi abbia dato molta soddisfazione. L’ho presa più che altro per senso del dovere, ma l’obbiettivo di laurearmi non mi stimolava molto. Tant’è che quando mi sono laureato non ho neanche festeggiato. Mi ero tolto un peso, avevo raggiunto qualcosa che bisognava raggiungere, è stato come il passaggio tra quando hai la nausea e quando ti passa la nausea: non è che festeggi una cosa così…ma dopo pochi giorni la nausea è tornata…dovevo trovarmi un lavoro…e di questo era un altro dovere al quale non potevo sottrarmi
Un’altra sfida è stata quella di non abbandonare il posto di lavoro (presso una Società di autostrade), quando mi sono reso conto – da neo laureato in Ingegneria Civile - che mi avevano sbattuto in trincea, caricandomi di responsabilità anche se io ero l’ultimo arrivato. In quel momento avrei potuto dire: “No, grazie, non sono ancora in grado, non sono pronto”. Lo fanno in tanti. Non me ne sono andato perché iniziare la mia carriera lavorativa con una dimissione sarebbe stata una sconfitta, e perché volevo dimostrare a me stesso che cosa sarei riuscito a fare. Ho stretto i denti e ho tirato avanti, imparando tutto sulla mia pelle, e arrivando a lavorare fino a 12 – 14 ore al giorno. Dopo sei mesi ho chiesto un aumento di stipendio, sebbene fossi ancora con un contratto a tempo determinato…e questo in pochi hanno il coraggio di farlo…
Ho avuto anche tante sfide sentimentali: per me fare provare a fare innamorare una ragazza che mi piaceva, è sempre stata una delle mie più grandi soddisfazioni.


……e cosa ci vuoi dire della sfida della carrozzina?
Io la carrozzina non la vedo come una sfida Se ti capita una difficoltà che tu non hai scelto, e per cui non hai scelta, questa difficoltà non la posso considerare una sfida. Per me la sfida è quando ci sono almeno due strade, e io devo sceglierne una. Se ho solo una strada, che sfida è?
Se proprio vogliamo parlare di sfida, posso dire che la mia sfida è stare bene sulla carrozzina. E’ dire: “Vittorio, dimostrati che tu in carrozzina puoi vivere come e meglio di chi ha le gambe”. Allora sì, dimostrare a certa gente che con la carrozzina puoi essere meglio che con le gambe, e di loro con le gambe…..allora sì, questa può essere una sfida.
Subito dopo l’incidente, quando mi sono reso conto di aver perso per sempre l’uso delle gambe, la prima cosa a cui ho pensato è che non avrei potuto più andare in bici, e questa era la cosa a cui tenevo di più, la mia ancora di salvezza. Poi ho pensato che, se la vita mi aveva portato davanti a questo, poteva voler dire che quello che mi aspettava avrebbe potuto essere ancora più grande. Questa è stata una sensazione, una sorta di presentimento che non saprei spiegare. Mi sono detto: “Vittorio, adesso vediamo che cosa sai fare; ora sono curioso di vedere quello che succederà, quello che la vita ti riserverà”.

Cosa vuoi dire alle persone a cui capita una “svolta” come la tua, come si fa a reagire in questo modo?
Ho sempre pensato che la vita fosse un po’ come il Giro d’Italia, con delle partenze e degli arrivi già prefissati (una sorta di destino, se vogliamo definirlo così), ma come arrivare da una tappa all’altra dipende da noi, dalle nostre decisioni, dai nostri comportamenti nelle varie situazioni. Io non ho visto l’incidente come una punizione. Nella vita di una persona, volenti o nolenti, ci sono comunque momenti di grande sofferenza e di sconforto. Al momento dell’incidente ho pensato: .“Tanto guarda Vittorio che in tutte le scatole (cioè in una delle possibili vite che ci scegliamo prima di nascere) c’è una fregatura o più di una. Tu ti sei preso una fregatura ora, e così forse quelle che verranno dopo ti sembreranno meno una fregatura”.
Tra i tanti mali, brutti, che possono capitare, penso che a me sia capitato il meno peggio, perché mi permette di fare comunque qualsiasi cosa, a parte camminare.

Tu pensi davvero che la tua seconda vita (come la chiami tu) sia meglio della prima?
Per adesso assolutamente si. Perché ora faccio qualcosa che mi piace veramente. Certo che non mi dispiacerebbe tornare a camminare, ma se questo vorrebbe dire perdere tutto quello che ho conquistato in questa seconda vita, allora penso che sceglierei di non tornare indietro. Quello che sto facendo ora non ha molto a che fare con i miei studi di Ingegneria Civile, ma c’entra tanto con il mio bagaglio di conoscenze, di esperienze e di passioni. Nell’handbike ho trovato tutto il meglio che avrei potuto trovare in un lavoro. Se mi avessero detto: “Scegli cinque caratteristiche che vuoi del tuo lavoro, che ti piacciano”….e sono tante eh?, perché già se te ne piace una sei fortunato….ecco, nel mio lavoro ce ne sono ben più di cinque che mi piacciono.

Come sei arrivato all’Handbike?
Io ero appassionato della bicicletta, già prima dell’incidente: non solo di andare in bicicletta, ma anche del mezzo, della tecnica e della meccanica della bicicletta, di ogni sua componente. Quando ho visto l’handbike è stato amore a prima vista e ne ho subito ordinata una del modello migliore sul mercato in quel momento, uguale a quella del mio amico Marco, la persona che…Appena è arrivata, ad agosto 2003, mi sono messo ad andare in handbike praticamente tutti i giorni: raggiungevo al massimo 14-15 km/h (ora arrivo in pianura anche oltre i 45 km/h) eppure già lì ero impazzito. Ho pensato: questa è la cosa più vicina alla bici che ci sia, e mi piace tantissimo!
Già dopo solo un mese ho voluto partecipare alla mia prima gara, e sono arrivato tra gli ultimi. Eppure già dalle prime gare alle quali partecipavo, guardavo i primi arrivati, i più forti, e non gli ultimi. Guardando chi aveva vinto. Gli chiedevo cosa facevano, come e quanto si allenavano,
A maggio 2004 ho partecipato al Campionato italiano di Handbike, e sono arrivato secondo. Fino a quel momento mi allenavo da solo, non mi seguiva nessun allenatore. Io lo facevo per divertimento, per partecipare alle gare sì, ma soprattutto per divertimento.


Qual è la differenza tra la vittoria e la sconfitta?
Vuoi sapere quanto piccola è la differenza tra una vittoria e una sconfitta?! Tra una vita “bella” e una vita “brutta”? Per molti dei tossicodipendenti che ho incontrato durante il Servizio Civile in Comunità è stato un attimo, una frazione di secondo, una cosa quasi insignificante, la pacca di un amico che ti dice “Dai, vieni, andiamo da un’altra parte”.
Io questo l’ho sperimentato al Mondiale 2007, quando mi è capitato di arrivare ad una curva con troppa velocità: non volevo comunque frenare, avrei rallentato troppo per il rettilineo successivo, e il risultato è stato che la mia handbike è rimasta su due ruote e poi è uscita di strada. Ecco, in quel momento ho rischiato di perdere tutto. Ma ho avuto la freddezza, e anche la fortuna, di riuscire a tenere la bici diritta, evitando che si ribaltasse…..ho solo allargato la curva e poi sono rientrato su strada. Ho perso circa 10-12 secondi, e potevano valere la vittoria…mi sono ritrovato in pista e comunque ho detto: “Va beh, dai, a tutta!” . Ho tenuto i denti stretti, fino all’ultimo, “vada come vada ma io voglio concludere la prova avendo dato tutto”. Ho continuato e ho vinto il Mondiale. E’ stata una frazione di secondo: quel momento poteva segnare una delle più grandi delusioni della mia vita, e invece ha segnato una delle più grandi vittorie…speriamo non la più grande però…

Qual è la cosa che ti dà più fastidio riguardo alla tua condizione di disabilità?
Mi dà fastidio quando il modo di porsi dell’altro è troppo condizionato dal mio essere in carrozzina. Mi dà fastidio il suo imbarazzo, il fatto che mi veda in difficoltà quando in realtà io non sono in difficoltà.
Per un normodotato perdere le gambe sembra la cosa più grave del mondo. Una volta in carrozzina, ti rendi conto che puoi fare mille altre cose. Me l’avessero detto prima dell’incidente – guarda, perdi le gambe, ma la tua vita ti riserberà questo tipo di soddisfazioni – non avrei accettato, perché ero ottuso da quel punto di vista, essendo normodotato. Davo alle mie gambe un’importanza un valore ancora più grande di quello che hanno in realtà. Il normodotato considera le sue abitudini cose a cui non potrebbe rinunciare. Il disabile ha una sensibilità in più, e comprende meglio quali sono le cose davvero indispensabili e quelle per le quali si può anche fare a meno in qualche modo.